Ti aggiri per il supermercato, afferri un prodotto, lo scruti prima di decidere se infilarlo o no nel carrello. Nella testa, ti ronzano migliaia d’informazioni, quelle che ti ha dato l’amica “che sa sempre tutto” o che hai letto in rete. Ma sei sicura che siano tutte provate? Per esempio, la sindrome del ristorante cinese, quel mal di testa attribuito al glutammato di sodio aggiunto ai piatti orientali, non esiste. O il Kamut, ipernutriente e costoso cereale, non ha origine dall’antico Egitto, ma è un marchio registrato americano. Insomma, nel campo della nutrizione girano moltissime bufale, da svelare per fare scelte più consapevoli. Vediamole insieme.
Il Kamut non è il grano degli antichi egizi
L’Italia è il Paese che consuma più Kamut al mondo. Ma sappiamo davvero di cosa si tratta? Tra le leggende che circolano intorno a questo cereale, la più curiosa è quella sulle sue origini. Il Kamut è un tipo di grano, con chicchi grandi il doppio rispetto al frumento. Non è nato nell’antico Egitto, come molti credono, ma è una varietà orientale, il Triticum turgidum, che è stata registrata e battezzata Kamut da un’azienda negli Stati Uniti. Viene utilizzato come ingrediente della pasta e dei prodotti da forno (grissini, fette biscottate, gallette). Dal punto di vista nutrizionale, ha un contenuto di proteine, cioè di glutine, leggermente più alto rispetto al frumento (14,7 g all’etto; il grano tenero ne ha 10,7 g, il grano duro 11,3 g), quindi non è adatto a chi soffre di celiachia né di altre sensibilità al glutine. Il consiglio: se ti piace il sapore del Kamut, compralo. Ma sappi che quello del gusto è l’unico dato che ne giustifica il sovrapprezzo (costa 4 volte il grano).
I vini più costosi non più buoni
Più è caro, più è di classe: lo pensiamo tutti. Ma in un esperimento scientifico pubblicato sulla rivista americana Journal of Wine Economics, da più di 6 mila degustazioni è emerso che quando gli assaggiatori sono ignari del prezzo giudicano migliore il vino mediamente meno costoso. Un gruppo di scienziati californiani ha fatto lo stesso esperimento, mostrando il prezzo. Lo studio ha dimostrato che quando assaggiamo due vini, uno molto più caro dell’altro, i nostri organi di senso percepiscono i sapori nello stesso modo, ma l’area del piacere, situata nella corteccia cerebrale, si attiva meglio nel momento in cui beviamo il più caro. In sostanza, il prezzo migliora l’esperienza sensoriale. Altri esperimenti sulle annate e sulle riserve hanno svelato che solo gli esperti riescono a identificare una bottiglia pregiata. Il consiglio: prova vini diversi e affidati al tuo gusto. Ma non aspettarti di apprezzare di più un vino costoso, a meno che tu non sia un sommelier. Non scendere però sotto i 4 euro perché non è possibile che un prodotto di qualità costi così poco.
Le uova di galline allevate all’aperto non sono più nutrienti
La carta d’identità dell’uovo, un lungo numero stampato sul guscio, racconta molto del prodotto. La prima cifra dice come sono state allevate le galline. 0 significa alimentate con mangime biologico in uno spazio aperto di 4 mq; 1: allevate all’aperto, in uno spazio minimo di 2,5 mq; 2: allevate a terra, in capannoni (non più di 9 galline per metro quadrato); 3: gli animali sono in gabbia in 0,75 mq (poco più di un foglio A4). Il tipo di allevamento influenza la qualità dell’uovo? L’Università di Bologna ha fatto un test e ha trovato lievi differenze. Le uova delle galline allevate in gabbia hanno più albume e meno tuorlo e il guscio è meno resistente. Dal punto di vista nutrizionale (proteine, colesterolo, grassi) non ci sono grandi variazioni. Il consiglio: scegli le uova bio o da galline allevate all’aperto (numero 1) se devi preparare la pasta fatta in casa e la vuoi di un bel giallo vivace.
Il glutammato di sodio non fa male
È una delle sostanze che suscitano più sospetti, responsabile, si dice, della cosiddetta sindrome del ristorante cinese, il mal di testa legato al consumo di cibi orientali. Un effetto che la scienza, dopo aver passato in rassegna tutti gli articoli pubblicati sul tema, non ha confermato, ma la diffidenza nei confronti di questa sostanza resta. Il glutammato è un sale dell’acido glutammico, aminoacido prodotto dalla degradazione delle proteine presente in tantissimi cibi, come pomodori, alghe, parmigiano. Gli orientali lo usano da secoli come esaltatore di sapore; ha funzione simile al sale, e come quest’ultimo va evitato a grandi dosi, ma non ci sono studi che ne evidenzino l’effetto negativo delle normali quantità sulla salute. Il consiglio: come il sale, il glutammato va usato a piccole dosi se hai la pressione alta. Per evitarlo, controlla l’etichetta: estratto di lievito e proteine idrolizzate, a volte presenti nei dadi o in preparati simili, sono in realtà glutammato.
Il biodinamico non vale più del bio
L’agricoltura biodinamica è un metodo di coltivazione ispirato al filosofo svizzero Rudolf Steiner; segue le regole di produzione del biologico ed è certificato come tale, ma tiene conto degli influssi astrali e prevede l’uso di preparati che stimolano la terra. Per esempio il cornoletame, letame posto in un corno di vacca lasciato sotto terra per tutto l’inverno e poi dinamizzato, ovvero agitato da 40 a 100 volte; oppure i preparati da cumulo, fiori e piante fermentati in una vescica di cervo. «Una ricerca pubblicata su una rivista americana di agricoltura non ha rilevato differenze tra il suolo fertilizzato con i preparati biodinamici e quello trattato in modo biologico. Quanto ai prodotti, all’Istituto di agroecologia della Washington State University per tre anni hanno confrontato uve biologiche e uve biodinamiche per concludere che non ci sono distinzioni chimiche di rilievo; lo stesso studio ha analizzato le caratteristiche sensoriali (gusto, profumo) di vini biologici e biodinamici, senza rivelare differenze. Il consiglio: visto che nessun dato fa pensare che il biodinamico sia meglio, consideralo semplicemente come un cibo (o una bevanda) biologica. Controlla in etichetta gli ingredienti e affidati al tuo naso e al tuo palato. E occhio al prezzo!
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