La celiachia è una malattia in forte aumento: se alcuni anni fa ne soffriva solo un italiano su mille, ora il rapporto è salito fino ad uno su cento. Tuttavia, sono sempre di più gli italiani che decidono autonomamente di alimentarsi con prodotti senza glutine, ritenendoli erroneamente più sani o addirittura dietetici.
Celiaci e intolleranti
La celiachia è una malattia certificata da specifici test. L’intolleranza al glutine (gluten sensitivity) invece è un disturbo molto più oscuro, dal momento che non esiste al momento un test che lo possa diagnosticare con esattezza. Il problema tuttavia è che molte persone che soffrono di disturbi come difficoltà di digestione, crampi addominali, meteorismo, mal di testa e stanchezza, si ritengono “intolleranti al glutine” e decidono di cibarsi solo di prodotti gluten-free, nella speranza che così facendo i propri problemi vengano risolti. In realtà questi sintomi sono comuni a molte altre forme di intolleranza e non esistono prove che i prodotti senza glutine portino giovamento.
Il glutine e i celiaci
Il glutine è una proteina contenuta nei cereali di cui la maggior parte delle persone si ciba regolarmente: frumento, orzo, segale, farro, kamut. È presente in alimenti di largo consumo come pane, pasta, pizza, crackers, grissini e altri prodotti da forno. I celiaci non sono in grado di assorbirle il glutine e questo provoca ripercussioni sull’intestino, sull’assorbimento di altri nutrienti e sulla salute in generale. L’unica soluzione è molto drastica: rinunciare per sempre a tutti i prodotti che contengono glutine, anche in minima quantità. I celiaci devono persino tenersi alla larga dalla birra e dai prodotti impanati. Per cercare di ridurre le restrizioni del regime alimentare a cui sono costretti, sono stati inventati alimenti sostitutivi in formula gluten free che si possono acquistare in farmacia, nei supermercati e nei negozi specializzati.
Questione di parole
In questi tempi in cui il marketing alimentare la fa da padrone, la parola “senza”, suscita spesso l’erronea associazione con “meglio”: un prodotto privato di un determinato elemento sembra automaticamente migliore. I prodotti senza glutine vengono quindi erroneamente ritenuti “più salutari”, “più leggeri”, “più digeribili” e acquistati, nonostante siano più costosi e meno saporiti, in nome di una falso luogo comune. Inoltre l’espressione “dieta senza glutine” porta inevitabilmente a false speranze, facendo credere a molte persone che un regime alimentare gluten-free faccia dimagrire. Spesso in realtà è vero l’esatto contrario: alcuni alimenti senza glutine tendono a contenere più grassi, zuccheri e sale (e quindi calorie) per controbilanciare l’assenza di glutine e la carenza di sapidità, in modo da avere un sapore più gustoso. La “dieta senza glutine” quindi non solo non porta alcun giovamento per chi non è celiaco, ma rischia persino di essere sbilanciata. Questo ovviamente non vale per tutti i prodotti per celiaci, ma è bene ribadire che la dicitura “senza glutine” non significa “dietetico”.
Il glutine non è un nemico
Nel corso degli ultimi anni il glutine è diventato ingiustamente “il nuovo cattivo” nella percezione comune dei consumi alimentari. In uno studio pubblicato sugli Annals of internal Medicine, gli studiosi puntano l’indice su una moda, fortemente sostenuta da media e pubblicità, che demonizza il glutine, incrementa l’autodiagnosi di gluten sensitivity e non ha sufficiente supporto scientifico alle spalle. Privarsi del glutine senza essere celiaci, insomma, è una sciocchezza e non c’entra proprio niente con il mangiar sano. Non ci sono indicazioni che i prodotti gluten-free facciano bene, e di certo sono peggiori sul fronte del gusto e dal punto di vista organolettico. Insomma, una moda e niente più. Il problema è che la maggior parte della gente non s’informa, demanda le proprie scelte alimentari ad altri, con la scusa di non avere gli strumenti per capire. Ma non è vero: basta informarsi. E, soprattutto, non c’è ragione di imporsi senza ragione un regime alimentare punitivo sul fronte del gusto: il glutine dà la fragranza al pane, la consistenza alla pasta. Perché privarsene senza ragione?
Tutta colpa di Hollywood
Come altre mode alimentari costruite sul potere evocativo di una sigla o una parola, dal “no carb” al “detox”, quella del gluten-free viene dagli Stati Uniti, dove il giro d’affari dei prodotti per celiaci è aumentato vertiginosamente. Ci si mettono poi le celebrities a fare da cassa di risonanza a volte ingenua, a volte superficiale. Dalla giovanissima Miley Cyrus, celiaca, che cinguetta sul suo profilo Twitter “Il cambiamento nella salute della vostra pelle, il miglioramento fisico e mentale è incredibile! Non si può tornare indietro!”, all’attrice Gwyneth Paltrow, che nel suo portale Goop (www. goop.com) racconta come ami ogni tanto “disintossicarsi” togliendo dalla sua tavola caffeina, derivati del latte e, appunto, glutine.
Questione di business
Una volta fiutata una nuova nicchia di mercato, grandi produttori ed esperti di marketing si sono messi sotto. Un colosso della produzione nostrana di carni ha promesso entro tempi brevi la “gluten free meat”, mentre le diciture sulle confezioni di alcuni frollini ammiccano alla moda e creano ulteriore confusione, quando riportano frasi come “prodotto per celiaci e intolleranti al glutine”. Pur sapendo che la seconda condizione non è così immediata da definire. In ogni caso, nel 2010 sarebbero stati spesi, in Italia, circa 150 milioni di euro in prodotti per celiaci. E nel 2011 sono stati oltre 2.200 i ristoranti (il 43% in più del 2010), 404 gli alberghi (+14%) e 382 le gelaterie (+9%) a ricevere il certificato “gluten-free” dell’Aic (Associazione Italiana Celiaci). Una buona notizia per i celiaci, costretti a una dieta rigida e frustrante, ma anche un indicatore di “business” in crescita. A inizio 2012 è diventata esecutiva anche una norma europea secondo cui un’azienda può liberamente immettere sul mercato prodotti alimentari etichettati “senza glutine”, purché rispettosi dei criteri di legge (quantità di glutine non superiore a 20 mg/kg, l’assenza di potenziali fonti di contaminazione durante l’intero processo produttivo, assenza di ingredienti derivati da cereali contenenti glutine). Si tratta di una nuova ondata di prodotti, autocertificati, che si andrebbero ad aggiungere a quelli inseriti nel Registro Nazionale e sottoposti a rigidi controlli (qui niente autocertificazione: il nullaosta viene ottenuto dall’azienda produttrice solo dopo una vista di delegati ministeriali o della Asl). Secondo alcuni, questo è un passo in avanti nella semplificazione della vita dei celiaci. Altri invece ritengono che sia un rischio in quanto i controlli sul prodotto sarebbero meno rigorosi.
Meno gusto, più costo
Come altri alimenti dietetici, quelli specifici per celiaci tendono a costare un po’ di più – al punto che i celiaci conclamati ottengono un piccolo sostegno del governo nelle spese alimentari. Gli studiosi dell’Ircss San Matteo di Pavia hanno calcolato quanto costa un menu senza glutine: si va dai 16 euro per un chilo di lasagne a 10 euro per uno di bucatini, dagli oltre 4 euro per una confezione di pizza da 240 grammi ai rincari su cracker (3,99 euro), minibaguette (300 grammi, 6,41 euro) e merendine (200 grammi, 3,80 euro).
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